Usiamo nel principio di questa malinconica stagione per insalate le verdi e più tenere foglie [della] cicorea, le quali prima ben lavate e appresso minutamente tagliate, col suo aglio, senza il quale non si mangian mai, e con tutti gli altri ingredienti che in far le altre insalate s’usano, la facciamo.»
Giacomo Castelvetro (Modena, 1546 – Londra, 1616), Brieve racconto di tutte le radici, di tutte l’erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano, 1614.

Come erbe spontanee dell’inverno a Cavezzo si conoscono soprattutto al risòti (le ricciotte), chiamate anche pòti e altro ancora. Crescono nei campi di erba medica (medicai) vecchi di almeno due anni e più in generale su terra incolta. La stagione delle ricciotte è da novembre a febbraio, quando offrono tenere foglioline ricce. All’inizio della primavera fanno un fiore giallo, da non confondere con il fiore del tarassaco (piscialetto, soffione, dente di leone…). Un tempo le ricciotte rappresentavano una preziosa e gustosa risorsa dell’inverno. Si andava a ricciotte e poi le si cucinava con aglio e pancetta. C’è chi non ha mai smesso di andare a ricciotte. Al giorno d’oggi poi si sono aggiunti nuovi estimatori di questa erba selvatica dal sapore amarognolo. Tra i regali più semplici della nostra terra ci sono anche l’ortica (che si usa per fare il risotto, il ripieno dei tortelloni, la pasta all’uovo), il tarassaco, il topinanbur e, per tornare agli inverni di un tempo, i radicchi spontanei di campo, che però oggi si dice siano difficili da trovare.

Foto di Chiara Fattori

Contributi grafici di Sabrina Remondi